Il dibattito sul CBD infuria in Italia fin da quando il legislatore decise, nel 2016, di sdoganarlo liberalizzando la compravendita di prodotti a base di questa sostanza.
Insomma, paradossalmente il cannabidiolo ha assunto permanentemente la posizione di ‘accusato’ proprio in seguito a una prima timida accettazione dello stesso all’interno del territorio italiano. Dopo che è stata sancita la libera circolazione di una miriade di prodotti, come le infiorescenze di canapa light, o i diversi tipi di hashish legale disponibili, ad esempio, su Justbob, italianissimo CBD shop attivo su diversi mercati europei.
E da allora l’attacco al cannabidiolo non è mai terminato, ma, anzi, ha subito un’escalation fino ad arrivare a quello che è diventato noto come decreto anti-CBD, un’iniziativa del governo attuale che minacciava l’intero settore e che è stata, per il momento, arrestata dall’intervento del TAR del Lazio.
Esamineremo la vicenda più da vicino nel seguente articolo, descrivendone i punti salienti e ragionando sulle sue conseguenze.
Dal DM anti-CBD alla reazione delle associazioni di settore: ecco cosa è successo finora
Nell’agosto del 2023, un decreto ministeriale ha provocato una significativa onda d’urto nel settore della canapa. Emanato dal Ministero della Salute, il DM del 7 agosto 2023 ha classificato le composizioni per somministrazione ad uso orale di cannabidiolo (CBD) ottenuto da estratti di cannabis nella tabella dei medicinali. Questa mossa ha imposto un vincolo sostanziale sulla commercializzazione dei prodotti a base di CBD, influenzando direttamente un’industria già in rapida evoluzione e crescita.
La reazione degli stakeholder non si è fatta attendere.
Imprenditori Canapa Italia (ICI), una delle principali associazioni del settore, ha espresso immediata contrarietà: rappresentando gli interessi dei produttori e distributori di canapa, ha contestato la decisione governativa di equiparare il CBD a sostanze stupefacenti o psicotrope. Il principale argomento addotto contro il decreto ministeriale riguardava la mancanza di basi scientifiche concrete per classificare il cannabidiolo, una sostanza non psicotropa e non creante dipendenza, come medicinale soggetto a regolamentazione farmaceutica.
In una mossa decisiva, l’ICI, con l’assistenza dello studio legale Prestige Legal & Advisory, ha presentato un ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio, depositato il 3 ottobre 2023, con il quale ha chiesto l’annullamento del decreto, evidenziando le conseguenze negative sul settore della canapa industriale, che conta migliaia di occupati e una significativa quota nel mercato agricolo italiano.
Il ricorso ha sollevato questioni cruciali, tra cui l’assenza del parere del Consiglio Superiore di Sanità, richiesto dalla normativa vigente, e ha messo in luce le incongruenze tra la decisione del ministero e la realtà scientifica e legale del CBD. Queste azioni hanno posto un’enfasi notevole sulla necessità di una regolamentazione più informata e equilibrata, che consideri le ricerche scientifiche e l’esperienza internazionale riguardo alla sostanza.
La decisione del TAR del Lazio e le motivazioni alla base di essa
Con la sentenza n. 6652/2023, pubblicata il 5 ottobre 2023, il TAR ha accolto la richiesta di sospensione presentata da Imprenditori Canapa Italia (ICI), bloccando temporaneamente l’entrata in vigore del decreto ministeriale di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente.
Il Tribunale, nell’esaminare il caso, ha posto in discussione le motivazioni fornite dal Ministero della Salute. In particolare, ha evidenziato la mancanza di chiarezza e di integrazione istruttoria sul presunto pericolo di induzione di dipendenza da CBD, una molecola non psicotropa e che non crea dipendenza. La sospensione dell’efficacia del decreto ministeriale è stata dunque giustificata dalla necessità di approfondire questi aspetti cruciali, in vista dell’udienza di merito fissata successivamente.
La decisione del TAR del Lazio ha inviato un messaggio forte in termini di ponderazione e di necessità di una riflessione più approfondita sulla regolamentazione del cannabidiolo, altresì evidenziando l’importanza di basare tali regolamentazioni su dati scientifici e considerazioni legali solide, piuttosto che su percezioni o generalizzazioni. La sospensione è stata accolta come un segnale positivo dal settore della canapa, che vedeva nel decreto una minaccia diretta alla propria attività economica e alla libertà di commercio di prodotti a base di CBD, ampiamente diffusi ormai tra i collezionisti più assidui di canapa legale.
Alcune considerazioni in attesa del termine di questa complicata vicenda
Mentre ci avviciniamo all’udienza di merito prevista per il 2024, le prospettive future relative alla regolamentazione del CBD in Italia rimangono in una fase di significativa incertezza. La decisione del TAR del Lazio di sospendere il decreto ministeriale ha aperto un varco per un possibile ripensamento o una revisione delle politiche attuali sul CBD.
Si tratta di un momento che rappresenta un’opportunità per gli stakeholder, inclusi legislatori, imprenditori e comunità scientifica, di riflettere e dibattere in modo più approfondito sulla posizione dell’Italia riguardo al cannabidiolo e ai suoi usi.
Una delle questioni chiave in questo dibattito è la necessità di allineare la legislazione nazionale con le linee guida e le decisioni prese a livello europeo e internazionale. Il contesto europeo, dove il CBD non è considerato una sostanza narcotica né pericolosa (posizione peraltro tenuta dalla stessa Organizzazione Mondiale della Sanità) e dove la sua commercializzazione è consentita in diverse forme, potrebbe fungere da modello per una regolamentazione più equilibrata in Italia.
Inoltre, l’industria della canapa in Italia attende con trepidazione l’esito dell’udienza, sperando in una risoluzione che permetta la continuazione delle attività commerciali senza restrizioni ingiustificate.
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